06 – Strategia della disperazione.

Da qualche anno ormai la rete è invasa da strategie, le più disparate, quella del terrore, quella dell’attenzione, quella della disattenzione, quella della tensione e chi più ne ha più ne metta. In questa Baraonda non potevo che inserirmi anch’io con la mia strategia della disperazione.
Iniziamo:

La disperazione, se prendete la Treccani ciò è quanto vi riporterà su questa parola:

1. Stato d’animo di chi non ha più alcuna speranza ed è perciò oppresso da inconsolabile sconforto e da grave abbattimento morale: condurreridursiessere ridotto alla d. (anche per gravi difficoltà finanziarie); essere in preda alla d.; esser presoassalito dalla d.; per d., non trovando altra soluzione, costretto da dura necessità: stanco di lottare contro la miserias’è dato per dalla malavitail coraggio della d., il coraggio di chi, non avendo altra via d’uscita, osa tutto per tutto. 
Ecco, in queste prime sei righe c’è proprio ciò che stavo cercando: Il coraggio della disperazione, il coraggio di chi, non avendo altra via d’uscita, osa tutto per tutto E’ una questione di scelta, di sostantivi. La disperazione solitamente guardata come uno stato negativo può, invece, essere l’evento promotore del coraggio, quella folle spinta, disperata, che ci fa sollevare sulla braccia per uscire dal pozzo in cui siamo caduti. Possiamo restare lì a tremare convinti che le nostre braccia non riusciranno mai a sollevare il peso del nostro corpo, o tentare l’impossibile, facendo forza soltanto sulle dita, sentendo le unghie che si spezzano, sentendo il cuore che ci pulsa sul collo, sentendo le braccia che si strappano, ma questa è l’unica strada per la salvezza. La salvezza non spetta ai rassegnati, nemmeno ai benpensanti, la salvezza spetta ai folli e ai disperati. E la scelta da cosa e da chi dipende?
La scelta dipende esclusivamente da noi, e la facciamo in base alla nostra cultura alla nostra fame d’informazione. La nostra cultura, crea possibilità, più è stata curata più ci rende predisposti alle soluzioni, la cultura è una chance.
Alimentiamo la nostra cultura, sarà la possibilità di trasformare la disperazione in coraggio della disperazione ed uscire, anche se a fatica, da un pozzo che credevamo insormontabile.

Buona vita

A poi.

01 – Il dolore ai tempi di Facebook (una semplice riflessione)

Parto oggi con il mio nuovo Blog, che spero pian piano possa diventare, semplicemente, luogo di spunti per discussioni. Tratterò argomenti del quotidiano, sociali, in maniera sociale, senza presunzione, senza insegnare niente a nessuno. Parto con una semplice riflessione che mi gira in testa da parecchio tempo. Buona lettura
A poi. 

” Il dolore ai tempi di Facebook”
Mamma Roma corre, lascia il suo carretto e corre, sulla strada, da sola, inseguita da chi la conosce, da chi vorrebbe condividere il suo dolore o soltanto guardare quel dolore. Mamma Roma corre e non vorrebbe nessuno accanto, perché il dolore è cosa intima, è cosa personale che ognuno vorrebbe sbrigare da sé. Invece, c’è sempre qualcuno pronto a credere di poter dar sostegno al dolore, di poterlo affievolire, qualcuno che ha parole buone da dare, abbracci da dispensare. Il dolore per la perdita di una persona cara si consuma negli occhi, nello stomaco, nelle mani, nelle gambe; il dolore fa tremare.
Senti un vociare che è simile a uno sciame di mosche impazzite che ti ronza intorno alla testa, amici, parenti, conoscenti, tutti che devono dire qualcosa, che devono sapere, che hanno una soluzione, dimenticando la soggettività del dolore. Una volta si usava mandare un telegramma, lo si fa ancora oggi, ma questo mezzo sta pian piano sparendo. Oggi per esprimere la propria vicinanza al dolore, per raccontare il proprio stato di vicinanza con chi non c’è più, si usa Facebook. Quel pensiero che arrivava diretto attraverso una lettera, che era destinato ai soli famigliari, oggi diventa invece un fattore condiviso con chiunque, con tutti i propri contatti. Solitamente questo messaggio, quest’espressione di solidarietà viene raccolta da chiunque meno che dai famigliari, che tutto hanno da pensare in quei giorni meno che leggere gli stati di facebook. Ma arriverà qualcuno ad informarli che il loro, figlio/a marito, sorella che sia ha avuto tanti messaggi e tanti mi piace, che tutti gli volevano bene, non sia mai che oggi te ne puoi morire come uno qualunque, senza tanti luoghi comuni, senza che lo sappiano tutti. Oggi il dolore per una mancanza è un fatto collettivo che va ben oltre il dolore famigliare, è una questione sociale, sociale della rete. Ha iniziato la televisione, con i suoi giornalisti a violare il dolore come atto spettacolare, ponendo domande quali: Cosa si prova, com’era?
Domande inquietanti, fuori luogo e soprattutto inutili. Cosa volete che si provi davanti ad un dolore?
Ci si insinua nel privato, nell’intimità, per far sapere al mondo, agli altri. Si viola il diritto alla sofferenza, all’elaborazione del dolore.
Vi chiedo un favore, quando morirò non dite di me che ero una grande persona, che illuminavo il mondo, che il mio sorriso accendeva le vostre giornate, non ricercatemi nei vostri ricordi giovanili, di quando facevamo l’asilo. Se non vi ho più frequentato, se non abbiamo più incrociato le nostre strade probabilmente non ho provato per voi nessun amore. Lasciate me, la mia famiglia, coloro che mi sono stati accanto davvero, a rapportarsi con il dolore, lasciate che lo superino nel modo che ritengono più opportuno. E se la mia compagna cercherà di vivere, di divertirsi, di dimenticare, non state a parlar male. Il mio percorso con lei sarà finito e non sarà certo nel dolore eterno che la vorrei lasciare. Ci si lamenta tanto di questa grande crisi economica, quando la vera crisi l’abbiamo anzitutto costruita socialmente, giorno dopo giorno, bugia dopo bugia e tutto, soltanto per passare il tempo, per mostrare il lato commerciabile di noi.
Il dolore ha bisogno del suo tempo, dei suoi spazi, non di certo di spazi collettivi.
Il dolore è una questione privata.