
Sin da giovanissimo sono stato appassionato di poetica, di parole e pensieri che potessero far vibrare la pelle, cercare di generare quella strana sensazione che si sente allo stomaco, che svuota e riempie in tempi brevissimi i contenitori delle nostre emozioni. Per far questo ho sempre cercato qualcosa che mi stimolasse, che mi desse le basi e la libertà di spostarmi nelle varie posizioni per cercare punti di vista alternativi agli usuali.
Un’infinità di immagini, di poesie, di romanzi, di riviste, di film, ma soprattutto tanta, tantissima musica. Il desiderio di stimolare attraverso il suono il corpo e leggere attentamente il testo per comprendere la relazione, la motivazione, la direzione di un autore. Certo è che tra i testi che più ho amato in Italiano, ci sia De André, letto come si legge una poesia, togliendo la musica lasciandomi alla musicalità dei versi.
Un fascino talmente forte che mi ha fatto innamorare delle parole più che di ogni altra cosa e, nel tempo, non solo della parola scritta, ma la parola come forma e sostanza.
Iniziai a sperimentare, la parola come forma, ormai quasi vent’anni fa, e fu il più grande piacere della mia vita. La parola che prende un ruolo scenografico primario, proiettata, disegnata, che si fa struttura di scenografia e quasi abito per esprimere un concetto che trovavo fondamentale per raccontarmi e raccontare.
Sono fatto di parole, siamo fatti di parole.
L’esigenza di sperimentare con quelle che erano nuove forme espressive, di far si che la poetica uscisse da canoni statici quali i fogli di carta è stata quanto mai emozionante.
E una decina di anni fa iniziai uno dei progetti che più mi ha emozionato, SpokenWord, una sorta di poesia parlata cantata, nata con la Beat Generation, una sorta di origine del Rap, piuttosto un modo diverso di leggere i testi uscendo da schemi classici.
Parola e suono, corpo, improvvisazione.
Oggi la musica più ascoltata dai giovani è probabilmente la Trap, che non si distoglie poi così tanto dal concetto di Spoken, anche l’uso dell’Auto Tunes in realtà non cambia il concetto che al centro di tutto ci sia il concetto espresso. E i giovani hanno trovato un mezzo apparentemente facile da utilizzare per iniziare ad esprimersi.
Vuoi che grande aiuto lo abbiano dato social come Istagram ma soprattutto Tic Toc, resta comunque il concetto che c’è desiderio di esprimersi. E qui si genera il solito GAP generazionale “la mia giovinezza era migliore”, inizia il dettato della malinconia versus chi è ben piantato dentro il presente e più che guardare al passato guarda al futuro.
Una delle distanze più frequenti è proprio la differenza di punti di vista.
Banalmente sintetizzando, il giovane guarda il futuro, l’adulto guarda il passato.
Accadono poi fortuiti punti d’incontro dove i due sguardi si incrociano e studiano spesso, dove il giovane e l’adulto osservano le stesse direzioni con interesse e curiosità.
Vuoi che l’adulto per potersi sentire giovane e il giovane per mostrarsi più adulto camminino a tratti sulla stessa linea di confine, una linea che finalmente genera un dialogo, e forse, la comprensione.
Ma ci vuole cultura!
E qui, purtroppo, iniziano le attuali difficoltà di confronto tra generazioni.
In un’Italia ormai in netta discesa culturale, la distanza tra generazioni si fa sempre più visibile.
L’adulto dovrebbe avere la capacità di incuriosire, essere una guida invisibile, dovrebbe sforzarsi di comprendere il giovane non attraverso la sua visione da nostalgico ma attraverso la visione del giovane stesso, entrare nel suo mondo senza pregiudizi e comprendere le richieste di un linguaggio che non è per forza peggiore ma semplicemente nuovo.
Tempo fa mettendo in pratica uno dei miei maggiori piaceri di relax, ascoltare le nuove uscite su Spotify, mi è capitato di imbattermi in un album “OBE” di Mace.
Solitamente faccio un ascolto veloce di tutte le tracce cercando qualcosa che mi colpisca particolarmente, qualcosa di nuovo di coinvolgente. E l’ho trovato, 17 tracce, con una ricerca musicale, una valanga di suoni, di effetti, di sintetizzatori, di modulazioni che mi ha coinvolto in pieno, ma soprattutto tante parole, tantissime una valanga di cose da dire. Certo che se mi pongo da 45enne quale sono e leggo con il pregiudizio di confrontare i concetti con il passato, posso dire “è però i testi di una volta”, ma non è questo l’approccio per evolvere. Leggere per comprendere, ascoltare per capire il tempo presente, non può essere tutto finalizzato al giudizio. Una canzone mi ha colpito particolarmente si chiama “La storia nostra” oggi prima in qualsiasi classifica Italiana e a ragion dovuta. Chorus, delay, riverberi, coristi, elettronica, sintetizzatori spinti, su di un testo lineare, intenso e un video che ne estrae la totale energia, di un gruppo d ragazzi che pogano “anni 80” sotto la pioggia in un continuo slow motion. Una vera perla nuova. Tra i tanti ascolti mi sono imbattuto in un video dove Mace producer autore dell’album, racconta come nasce la storia nostra, e lì ti rendi conto di quanto lavoro, quanta conoscenza, quanto studio, quanta necessaria preparazione fatta di esperienza, contaminazione, e soprattutto quella sensibilità che ti permette di lavorare maniacalmente su un dettaglio che sai già che solo poco percepiranno, ma per quei pochi ne sarà valsa la pena.
Un altro aspetto che mi è piaciuto è che Mace scrive le musiche e sceglie tanti artisti per i testi, ne viene fuori un disco enorme, vario, nuovo, assolutamente da ascoltare.
Essere curiosi, senza pregiudizi, è l’unica strada per l’evoluzione, ascoltare i giovani è comprendere il presente, essere invisibili con sostegni invisibili ma concreti